Guido Migliozzi, ventenne vicentino, ha ottenuto domenica la sua prima vittoria da professionista, ad appena nove mesi da passaggio di categoria. Si è imposto nell’Abruzzo Open by Lyoness, un torneo dell’Alps Tour, superando dopo tre buche di spareggio due francesi molto esperti quali Julien Foret e Alexandre Daydou. L’emozione del momento, la giusta euforia per un successo difficile e sul filo dei nervi, poi il ritorno alla normalità del giorno dopo.
"L’ho trascorso in casa - racconta - insieme ai miei famigliari, in relax. Oggi sono tornato al campo e ho ripreso la consueta routine". Pensieri diversi, però. "Il successo mi ha dato la dimensione e la consapevolezza del mio gioco e mi ha lasciato buone sensazioni".
La Ryder Cup
- Un bel titolo nel palmarés, nessun cambio di programma, ma traguardi di livello. "Tra pochi giorni parteciperò alla Stage1 della Qualifying School per provare ad arrivare sull’European Tour. Tra gli obiettivi futuri, il top è quello accedere al PGA Tour entro i 25 anni di età. A termini più brevi spero di tornare a competere insieme a Renato Paratore, il quale sono due anni che mi aspetta sul circuito continentale".
- Cinque anni per arrivare al tour americano, nel 2022, l’anno della Ryder Cup a Roma.
"Inutile dire che la Ryder Cup primeggia nella mia agenda, pur se mi rendo conto delle difficoltà per competervi. E’ una manifestazione che ha un alto significato per noi giocatori e per tutto il movimento golfistico nazionale dal quale riceverà un notevole impulso. Un evento di cui il nostro sport aveva sicuramente bisogno".
In gara
- La bella carriera da dilettante con numerose vittorie in Italia e all’estero, compreso un campionato europeo a squadre con la nazionale azzurra Boys (2014), è stato un buon viatico per affrontare la nuova realtà. "Lo spirito - dice - è quello di entrare in campo sempre con la voglia di vincere o quanto meno di far bene. Poi nei momenti più duri occorre tirar fuori il coraggio e la determinazione, necessari per venirne a capo. Generalmente sono piuttosto sereno. Certo, qualche volta su un colpo sbagliato perdo un po’ la pazienza, ma dura poco. Mi lascio immediatamente alle spalle l’errore e riparto con calma. L’importante è saper dimenticare tutto rapidamente".
- Qual è stato il cambiamento più significativo nell’affrontare il mondo pro?
"Da dilettante innanzi tutto mi divertivo e giocavo bene perché ero spensierato. Appena cambiata categoria forse l’ho presa un po’ troppo seriamente e di conseguenza è mancata quella componente che mi permetteva di esprimermi al meglio. Ora ho compreso il problema, mi alleno con intensità, ma cerco sempre e comunque di trovare divertimento, perché a mio avviso è fondamentale. Ho avuto anche qualche problema tecnico, che ora ho risolto, e il rendimento è mutato".
- Hai già fatto una breve esperienza sull’European Tour giocando il Rocco Forte Open in Sicilia. Che sensazioni hai avuto affrontando atleti di peso, alcuni dei quali li avevi magari visti solo in TV?
"Sicuramente positive. Ho sempre ambito a giocare ad alti livelli e mi sono trovato a mio agio. Ho cercato di apprendere il più possibile, ho seguito i giocatori più bravi mentre praticavano o quando erano in gara, cogliendo ogni sfumatura per poi metterla in pratica. Certo, quando avrò nuove occasioni un po’ di emozione la proverò ancora".
- I tuoi campioni di riferimento?
"Matteo Manassero, Dustin Johnson e Rickie Fowler. Quest’ultimo mi piace molto per come gioca, per l’atteggiamento in campo e, in generale, per come si propone"
Una vita diversa
- - Da dilettante tanti viaggi, ma con pause. Ora la frequenza è quasi settimanale. "La differenza è notevole, perché da amateur si viaggia con la squadra nazionale, accompagnato dai maestri, dove tutto è preordinato e non devi preoccuparti di nulla. Ora devi gestirti da solo, prenotare alberghi, voli e quanto altro e non puoi dimenticare niente. Fortunatamente quest’anno ho avuto un buon aiuto dai compagni che sono da più tempo sul Challenge Tour, come Andrea Pavan, Nicolò Ravano, Lorenzo Gagli, Matteo Delpodio e Francesco Laporta che mi hanno dato i consigli giusti".
E in famiglia? "Io e la mia sorella maggiore, che lavora all’estero, siano poco in casa, dove restano altre due sorelle più piccole che ancora studiano. Le abitudini variano, ma è molto bello, però, quando ci ritroviamo tutti".
- Stai perdendo i contatti con gli amici?
"No, riesco ancora a mantenerli con i più intimi e ci vediamo con una certa frequenza, mentre è fisiologico che si vadano un po’ allentando i legami con i ragazzi che frequentavo nei tornei giovanili".
- La tua giornata standard fuori dai tornei?
"Mi alzo abbastanza presto, faccio un’ora di palestra, poi vado sul percorso ad allenarmi fino attorno alle 19. Non manca qualche uscita serale con gli amici. Io però mi diverto soprattutto a giocare a golf".
Una grande passione
- Guido Migliozzi, che è seguito dal maestro Niccolò Bisazza, ha cominciato a giocare a otto anni. La passione gliela ha trasmessa il padre. "Quando ero piccolo mi portava con sé e lo vedevo giocare seduto sulla sacca. Crescendo sono rimasto affascinato da quel competere contro il campo, come sottolineava anche lui. A dieci ho preso l’handicap. A 14 anni ho vinto il campionato pulcini, sono entrato in nazionale e ha avuto inizio la carriera".
- Che cosa ti intriga di più nel golf?
"L’essere continuamente in tensione e in competizione. A partire dalla prova campo fino alle gare. Una continua sfida per arrivare al top".
- Hai praticato altri sport?
"Per la verità sono un tipo un po’ spericolato. Ho fatto sci, calcio, nuoto, tennis e ping pong. Avevo anche una mini moto da cross, ma al momento delle scelte è stato solo golf".
L’invito ai giovani
- Che cosa diresti a un ragazzo per invogliarlo a giocare?
"Fidati, che il golf è veramente uno sport bellissimo, divertente e ricco di regole di vita. Regala tante emozioni, sei continuamente con gli amici e sempre all’aria aperta. E se poi lo abbracci come carriera, oltre alle prospettive economiche, ti permette di viaggiare, di imparare lingue diverse e persone diverse. In sostanza di conoscere il mondo".